Un seminario o un ciclo di incontri di Nāda Yoga sono composti da momenti di pratica alternati a spiegazioni teoriche volte allo scopo di rendere i partecipanti più consapevoli dell’esperienza che stanno compiendo. Per questo motivo vengono esposte le principali caratteristiche del suono, sia dal punto di vista metafisico che da quello più strettamente materiale.
Nello specifico del Nāda Yoga trasmesso da Vemu Mukunda, il principale obiettivo degli incontri è quello di “sentire il suono” non solo con l’orecchio esteriore ma soprattutto attraverso l’ascolto interiore. Per questo motivo la voce, elemento portante della nostra pratica, viene utilizzata non a fini estetici ma come strumento di conoscenza. Le vocalizzazioni, il canto delle scale musicali trasformative e l’intonazione del mantra OM, ci porteranno ad esplorare tutte le riverberazioni del suono a livello fisico, emotivo ed energetico. Svilupperemo in questo modo una maggiore consapevolezza del potere della vibrazione e saremo in grado di utilizzare le varie tecniche esposte per migliorare il nostro benessere psico-fisico.
I seminari sono aperti a tutti e non richiedono una preparazione di tipo musicale; tuttavia, per agevolare le persone meno esperte in questo campo, offriremo una breve introduzione ad alcuni concetti strettamente finalizzati alle pratiche Nāda Yoga che verranno insegnate nel corso. In generale la pratica non prevede l’assunzione delle posizioni tipiche dello Yoga (asana); nonostante ciò il Nāda Yoga può essere perfettamente integrato con questo tipo di attività.
In tutte le principali cosmogonie antiche la vibrazione-suono (chiamata di volta in volta “Om”, il “Verbo”, “Logos”, ecc.) viene considerata come causa ed essenza ultima del Creato; quello manifesto è solo l’aspetto più grossolano ed evidente del suono in quanto, da un punto di vista metafisico, il principio di Nāda ci riconduce piuttosto verso la comprensione della natura di quel misterioso stato di pre-esistenza dell’universo che ha affascinato tanto gli scienziati quanto i ricercatori spirituali di ogni epoca. Nella tradizione induista si racconta che il saggio Narada un giorno si recò da Brahma chiedendogli perché il mondo da lui creato fosse diventato così pieno di infelicità. Brahma rispose: “Le cose dovrebbero camminare con me, e devono farlo attraverso il suono, così il suono che le riporta a me darà loro anche l’armonia originaria”. Il mito tramanda che a Narada venne insegnato un metodo per ricondurre gli esseri alla fonte divina e così nacque il Nāda Yoga (Yoga del Suono).
I Veda, le antiche scritture indiane, ci hanno trasmesso molte informazioni sulla natura di Nāda e anche diversi strumenti per farne esperienza a fini evolutivi. In tempi recenti il maestro indiano Vemu Mukunda ha riscoperto alcune di queste tecniche, rielaborando ed integrando al tempo stesso i principi alla base della musica classica indiana, enfatizzandone gli aspetti meditativi e terapeutici. È noto come nella tradizione indiana non esista separazione tra spiritualità e arte; tutto sorge dai sacri Veda come armoniosa fioritura di un’unica grande saggezza che si manifesta attraverso differenti sentieri, ognuno dei quali può condurre il praticante verso la liberazione definitiva dalla sofferenza. Il sistema musicale indiano, grazie ad una specializzazione che si è andata sviluppando attraverso numerosi secoli, ha raggiunto una padronanza pressoché totale del rapporto tra suono ed emozione; all’interno dell’esecuzione di un raga (la composizione per eccellenza nel sistema indiano) ogni singola nota (o, per meglio dire, ogni intervallo) produce un preciso e determinato effetto emotivo. In questo modo l’ascoltatore viene trasportato (spesso in modo non esplicito) in una sorta di viaggio interiore che sblocca e trasforma le energie cristallizzate nel corpo sottile, riportando armonia ed equilibrio all’interno del sistema psicofisico. Partendo da questi principi teorico/pratici Mukunda (che era non solo un ricercatore ma anche un eccellente musicista) elabora un processo di auto guarigione basato principalmente sul canto delle stesse scale musicali da cui nascono i raga; i “nada yogi” vengono quindi indirizzati ad una pratica attiva che, dopo un periodo di apprendistato guidato, possono proseguire anche (e preferibilmente) da soli. L’obiettivo primario del Nāda Yoga è quindi, in estrema sintesi, quello di trasformare i blocchi emotivi in energia rinnovata e pienamente disponibile per scopi creativi ed evolutivi.
Ormai da molti secoli la cultura occidentale considera l’occhio come il più nobile tra gli organi sensoriali di cui è dotato l’essere umano; ne è scaturita una società (quella attuale) in cui gli stimoli visivi non solo sono numerosissimi (vedi computer, smartphone, tablet, TV, pubblicità, ecc.) ma vengono ritenuti anche portatori di un’“immagine” più realistica del mondo esteriore e, per estensione, dell’ intero universo. Si ritiene, erroneamente, che attraverso lo sguardo sia possibile cogliere gli aspetti più intimi e dettagliati della realtà e ottenerne un quadro d’insieme più “vero”. In realtà numerose ricerche, tra cui quelle del medico e musicoterapeuta Alfred Tomatis, hanno dimostrato che l’orecchio fornisce al nostro cervello un numero di informazioni largamente superiore a quello dell’occhio. Mentre l’occhio è un senso estrovertito, che tende a cogliere il mondo esteriore, l’orecchio è in grado di portare questa dimensione verso l’interno dell’uomo, “entrando nell’anima umana” (cit. Diether Rudloff). Pensiamo, da parte nostra, all’importanza fondamentale che in ogni cultura ha rivestito per secoli la trasmissione orale del sapere tra maestro e discepolo (in Oriente in parte è ancora così). Ripensiamo ai vari tipi di apprendimento dei quali noi stessi abbiamo fatto esperienza nella nostra vita: quanto può essere chiara, incisiva e indimenticabile una lezione ascoltata dal vivo, magari da un insegnante dotato di un particolare timbro vocale ed una naturale capacità di esposizione legata al senso del tempo, dei ritmi, delle pause e delle sospensioni, ecc. in altre parole: con uno spiccato senso musicale? I Veda indiani sono stati “uditi” dagli antichi saggi e poi trasmessi attraverso “canti”: tutto questo significa forse che esistono aspetti sottili della realtà che solo l’orecchio è in grado di cogliere pienamente?
Il Nāda Yoga individua due tipi di suono presenti nel cosmo, quello udibile e quello non udibile. L’aspetto udibile è chiamato in sanscrito ahata e corrisponde a tutti i suoni interrotti (cioè, dotati di un inizio e una fine) che sorgono dal contatto tra due oggetti (ahata significa letteralmente “colpito”). Il suono non udibile (o non manifesto) viene invece chiamato anahata e, come suggerisce la parola stessa (“non colpito”) è riferito ad un suono che non sorge da alcun contatto: esso è senza un principio e senza un decadimento; in altri termini esso è infinito. Sono ahata, per esempio, i suoni della voce e degli strumenti musicali, mentre sono anahata i suoni mentali, da quelli più grossolani a quelli più sottili. La sacra sillaba Om dei Veda è il suono anahata per eccellenza, la vibrazione che da sempre permea e sostiene ininterrottamente ogni fenomeno esistente nell’universo.