La Torre di Babele

“Non vi fermate
dovete costruire la vostra torre
La Torre di Babele
sempre più grande
sempre più alta e bella
… Siete o non siete i padroni della terra?”

Nel mito biblico, la torre di Babele rappresenta la sfida degli uomini a Dio: essi costruiscono una torre così alta da toccare il cielo, come simbolo della loro ambizione di utilizzare i segreti del mondo per i propri scopi terreni. All’epoca, narra il mito, gli esseri umani parlavano tutti la stessa lingua; Dio, per punirli, scompigliò le carte e fece in modo che ogni popolo iniziasse ad esprimersi in una diversa lingua, impendendo di comprendersi tra di loro e causando il fallimento dell’insano progetto.

Nel 1976 (esattamente 45 anni fa), il cantautore napoletano Edoardo Bennato pubblicò il suo quarto album intitolandolo “La torre di Babele”; in copertina, una piramide costituita da vari strati di figurine umane in tenuta bellica e in ordine cronologico di “apparizione” nella Storia, dall’uomo delle caverne armato di sola clava, fino ad arrivare al missile nucleare collocato in cima della torre.

“Strappate tutti i segreti alla natura
e non ci sarà più niente
che vi farà paura
e sarete voi a far girare la terra
con un filo, come una trottola
dall’alto di una stella.”

Come noto, gli anni ’70 in Italia hanno rappresentato un periodo di diffusa sensibilità popolare verso i temi della Guerra Fredda, del pericolo nucleare e in generale delle lotte per i diritti civili. L’album di Bennato si colloca in quel contesto ma, grazie all’uso sapiente della metafora, riesce ancora efficacemente a descrivere la situazione del nostro mondo, mezzo secolo dopo.

Profetico?

Non direi così tanto, piuttosto mi sembra che nel corso dei decenni successivi, ci siamo progressivamente disinteressati di certe criticità (l’impatto sull’ambiente della nostra civiltà in primis), come se in fondo si potesse “tirare a campare” all’infinito.

“E quella stella sarà il quartiere generale
per conquistare
quello che c’è ancora da conquistare
e da quella stella
per tutto l’universo
l’uomo si spazia per superare sé stesso.”

Il nucleo forte de “La torre di Babele” (lavoro musicalmente molto dylaniano, tra ballate acustiche ed elettrici brani rock-blues) è costituito dalla canzone omonima (il manifesto dell’intero album) e da una manciata di altre tracce nelle quali spicca particolarmente il tema della libertà individuale.

“Venderò”, ad esempio, con strofe lucide e spietate come le seguenti:

“Venderò il mio diploma
ai maestri del progresso
per costruire un nuovo automa
che dia a loro più ricchezza
e a me il successo”.

Il linguaggio di Bennato è spesso ironico, a tratti grottesco, come nella teatrale “Franz è il mio nome”, ambientata nella Berlino ancora divisa dal Muro: Franz è il carrettiere che si rende disponibile (quasi come un novello Caronte) a traghettare clandestinamente da est a ovest i fuggiaschi in disperata ricerca del paese dei balocchi (non a caso, il disco seguente del cantautore sarà il famoso “Burattino senza fili” ispirato a Collodi).

“Franz è il mio nome e vendo la libertà
a chi vuol passare dall’altra parte della città
compra il biglietto e non ti pentirai
per quello che ti do non costa assai”

Come anche altrove nel disco, Bennato pone la domanda fatidica: quanto costa la tua libertà? Perché in fondo è qui che i nodi vengono al pettine, allora come oggi. Come nella famosa scena di “Matrix” (pillola rosso o pillola blu?), ognuno di noi ha sempre la facoltà di esercitare il proprio libero arbitrio. Cosa sono disposto a “vendere” di me stesso (ideali, libertà, prospettive future) in cambio del benessere esposto nelle luccicanti vetrine berlinesi? Alla lista della spesa oggi si potrebbe aggiungere: cosa sono disposto a perdere per tornare alla “vita di prima”?

“Eaa” è un altro rock ‘n’ roll divertente e sagace, dove però la comitiva a bordo del bus (l’Italia, l’Europa, il Mondo?) pare non accorgersi che, a tutta velocità, sta per finire dritto dritto in un burrone. Continuando allegramente a cantare, come se niente fosse.

Bennato (o meglio, il fratello Eugenio, autore del testo di “Venderò”) sembra però volerci dare anche un segnale positivo, facendo entrare in scena il personaggio di Raffaele, elemento di discontinuità con il passato e le sue forme ormai obsolete:

“Raffaele è contento
non si è mai laureato
ma ha studiato e guarisce la gente
e mi dice: stai attento
che ti fanno fuori dal gioco
se non hai niente
da offrire al mercato”

E qui forse la profezia era davvero tale.

Giovanni Del Casale

 


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